[SUONO] [MUSICA] In questa nostra ultima lezione del corso sulla storia dell'antico Egitto, ci occuperemo della fase cristiana della storia egiziana. Normalmente si pensa che vi sia una vera e propria rottura culturale tra l'Egitto di epoca faraonica e l'Egitto successivo, ma vedremo che in realtà non è così. L'Egitto tardoantico, dunque il periodo compreso tra regno di Costantino e direi l'ottavo secolo, è caratterizzato certamente dalla diffusione della nuova religione, il cristianesimo, ma, attenzione, anche della sopravvivenza dei culti tradizionali, che con il cristianesimo si mescoleranno e stringeranno un rapporto veramente molto stretto, come vedremo tra poco. Nasce poi il monachesimo. Normalmente si pensa che il monachesimo organizzato sia stato fondato da San Benedetto, o perlomeno così crediamo noi occidentali. Non è così. La regola monastica, la prima regola scritta, nasce in Egitto, nella Tebaide. Nasce anche una nuova forma di arte figurativa, questo è inevitabile, con la nuova religione, che, tuttavia, anche in questo caso, si affianca alla tradizione. Infine, vedremo che si forma l'ultima fase della lingua egiziana, il copto. Ecco qui avete un esempio di manoscritto copto. Quello che vedete, è un foglio pergamenaceo di un codice del X secolo d.C., quindi piuttosto tardo per la verità. Il copto è l'ultima fase della lingua egiziana: grammaticalmente, è ancora pienamente egiziano. In pratica, Ramesse II avrebbe potuto comprendere quello che diceva un cristiano di IV secolo d.C. L'alfabeto, però, vi basta dare un'occhiata a questa immagine, è greco, ma usa anche sei segni aggiuntivi derivati dal demotico per esprimere dei suoni che l'egiziano aveva e che, invece, il greco non contemplava. Il lessico è in gran parte egiziano, ma con molti prestiti dal greco. Ricorderete che abbiamo parlato, nella lezione precedente, di bilinguismo greco-egiziano già all'epoca dei Tolemei. Ebbene, questo bilinguismo si accentua ulteriormente nella fase successiva. La parola copto deriva dall'arabo "Qubt" che a sua volta deriva dal termine greco "Aigyptios", cioè egiziano. Quando arrivarono gli arabi, non riuscivano a pronunciare questo termine greco, per cui chiamarono Qubt, Cobt appunto gli abitanti autoctoni, gli egiziani, e definirono, invece, tutti gli altri, i greco-romani, come Rom, Rum da cui Romania, intesa come ciò che rimaneva dell'Impero Romano d'Oriente. Quindi inizialmente la parola copto non aveva alcuna implicazione religiosa. Vi prego di osservare queste immagini, perché ci fanno capire quello che abbiamo appena affermato, ovvero che non c'è soluzione di continuità rispetto al passato faraonico. La prima immagine ci mostra un orante, noterete le braccia rivolte verso l'alto in gesto di preghiera, e sopra le braccia una sort of di velo simbolicamente rappresenta il paradiso, ma accucciati a destra e a sinistra di questo orante, chiaramente cristiano, Horus e Anubi. Quindi una combinazione di simboli presi in parte dalla nuova religione e in parte da quella tradizionale, senza alcun imbarazzo. L'immagine che vedete, invece, dalla parte opposta, raffigura una Dafne, certo con un po' di immaginazione. Si tratta della nota figura mitologica, trasformatasi poi in alloro. Riconoscete, infatti, il fogliame che si trova intorno al suo corpo. Si tratta di una figura nuda però, e la cosa sorprendente è che costituiva il capitello di una lesena di una chiesa. Nessun imbarazzo, né a proporre la nudità, né tantomeno a proporre motivi figurativi, stilemi, provenienti dal passato classico questa volta: quindi motivi figurativi faraonici, per quanto riguarda la stele dell'orante, e motivi figurativi classici, per quanto riguarda il capitello con Dafne. Ma l'immagine più interessante è senza dubbio quella centrale. Mostra due mummie, vi prego di notare la raffinatezza dell'intreccio delle bende della mummia di destra. Nessuno direbbe mai che si tratta delle mummie di due monaci del VI secolo d.C. Quindi, attenzione, quando ci si occupa di Egitto tardoantico, non si deve assolutamente commettere l'errore di considerarlo come qualcosa di avulso rispetto al passato faraonico, in realtà è in perfetta continuità con quanto è avvenuto nei secoli, anzi nei millenni precedenti, e ne daremo di qui a poco qualche altra dimostrazione. Abbiamo già accennato al fenomeno del monachesimo come uno dei tratti peculiari dell'Egitto tardoantico. Certamente non non è un fenomeno esclusivo dell'Egitto, ma di sicuro prende delle forme che in nessun'altra parte del Mediterraneo si manifesteranno. Non dobbiamo pensare al monachesimo esclusivamente come una forma di vita organizzata e scandita da una regola, ci sono varie nuance in cui si manifesta il monachesimo egiziano. Questa è una delle più interessanti: siamo nel sito archeologico di Kellia, letteralmente semplicemente le celle. Vedete, non è rimasto molto dal punto di vista archeologico, soltanto le fondazioni delle singole celle. Celle che erano, però, delle vere e proprie case, anzi quasi delle fattorie con un grande cortile all'aperto, utilizzato per intrecciare cestini, stuoie, ma anche per produrre vasellame, per esempio, e una parte chiusa dove vi era la cappella, e naturalmente anche la camera per riposare. Normalmente queste unità abitative erano condivise da tre, quatto persone: un padre, quindi un anziano, e due o tre discepoli che dovevano apprendere l'arte del silenzio, della meditazione, della preghiera, e che poi a loro volta avrebbero fondato delle nuove celle. Si tratta di edifici di tutto rispetto dal punto di vista architettonico, e vi prego di notare la decorazione di queste croci gemmate, che sono state trovate in alcune delle cappelle. Insomma, bisogna sgombrare dalla mente l'idea del monachesimo come un fenomeno pauperistico, perché di certo non è soltanto questo. Certo, i Kellia sono soltanto una delle declinazioni del monachesimo egiziano. Ci sono monaci estremi; monaci che vivono su pietre arroventate; monaci che vivono con i capelli attaccati a delle rocce; monaci stiliti, come in Siria, per esempio; monaci che vivono in monasteri rupestri, come quello che vedete in queste immagini; oppure forme effettivamente più tradizionali, organizzate, come il monastero di Sant'Antonio sul Mar Rosso. In questo caso si nota che c'è un muro di cinta, delle celle più o meno regolari, questa naturalmente è l'evoluzione del complesso in epoca anche recente, e una chiesa in cui avviene la sinassi, ossia la messa, il sabato pomeriggio. Ma quando si diffonde il cristianesimo in Egitto, e soprattutto, chi è il fondatore del cristianesimo egiziano? La tradizione vuole che sia stato San Marco, che vedete qui effigiato in una pisside oggi conservata presso il Museo del Louvre, quindi una scatolina di avorio che ci mostra non soltanto San Marco Evangelista, ma i suoi immediati successori, cioè gli arcivescovi di Alessandria. È chiaramente un oggetto che tende ad avere la funzione di dimostrare che da Marco in poi, senza soluzione di continuità, c'è stata una gerarchia solida e documentabile. In realtà questo è un falso storico. Intanto noi non sappiamo affatto se Marco sia stato davvero il fondatore della chiesa di Alessandria, ma soprattutto dobbiamo confessare che fino alla seconda metà del II secolo noi non sappiamo assolutamente niente della gerarchia ecclesiastica egiziana. Probabilmente non c'era una gerarchia, ma le prime comunità cristiane erano organizzate intorno a dei maestri, quindi seguendo il modello delle scuole ebraiche, oppure dei circoli filosofici greci. Sebbene, come si è detto, non abbiamo alcuna certezza che Marco possa essere considerato il fondatore della chiesa di Alessandria, certamente il cristianesimo capillarmente si diffuse in tutto il territorio, a cominciare dal nord, questo è evidente, con maggiori resistenze a sud. Alessandria ebbe un ruolo egemone anche nella storia del cristianesimo, fino al Concilio di Calcedonia, epoca in cui Alessandria si separò dalla "Grande Chiesa", e cioè da Costantinopoli, Gerusalemme, Antiochia, Roma, per una questione poco importante, il cosiddetto monofisismo. C'era chi sosteneva che in Cristo vi fosse una sola natura, quella divina, e non quella umana. Si accusò la gerarchia egiziana di sostenere questa eresia. In realtà gli arcivescovi di Alessandria sostenevano semplicemente che la natura divina di Cristo sussumeva, cioè riassumeva quella umana, ma non escludevano affatto quest'ultima. Evidentemente era una questione politica: Costantinopoli mirava a essere considerata la nuova egemone, non soltanto la nuova capitale politica, ma anche la nuova capitale religiosa. Da quel momento in poi la chiesa di Alessandria, e con essa quella di Etiopia, quella di Siria e quella d'Armenia, saranno delle chiese separate, etichettate ingiustamente come "monofisite". E questo farà sì che svilupperanno delle caratteristiche completamente indipendenti rispetto alle altre, anche dal punto di vista artistico. Qui avete una serie di immagini della cosiddetta arte copta, cioè l'arte dell'Egitto cristiano. Dico cosiddetta perché in realtà altro non è che una variante regionale dell'arte tardoantica e bizantina. Ci sono alcune immagini che potreste rinvenire tranquillamente tanto a Ravenna, quanto a Costantinopoli, quanto nel sud Italia per esempio. La compressione delle figure, l'ingigantirsi degli occhi, i tratti evidentemente molto ispessiti del volto, delle bocche e degli occhi, come si diceva prima, e tuttavia una straordinaria perizia nella lavorazione dei materiali lapidei, come questi rilievi e questo capitello eseguiti con il trapano a mano. Quello che manca del tutto è, però, la scultura a tutto tondo: questa è una caratteristica propria dell'arte egiziana tardoantica. Dicevamo della continuità con il passato, e abbiamo già potuto apprezzare come la pratica dell'imbalsamazione sia utilizzata anche in contesti monastici. La piccola mummia che vedete apparire dalle sabbie in questo angolo di necropoli, una necropoli del VII secolo d.C., è ancora una volta una mummia di un cristiano. Ma ciò che è ancora più evidente come tratto di continuità rispetto al passato è il perpetuarsi dell'uso della magia. Quello che vedete è un formulario magico per cercare di evitare che demoni di ogni sort of si accaniscano sul defunto: né più né meno di quello che accadeva nell'Egitto faraonico con il Libro dei Morti. Particolarmente impressionante, direi, è questa statuina, che viene dalla località di Antinoe, e che è una vera e propria bambolina vudù, chiaramente. Era accompagnata da dei testi e serviva ad affrontare una nemica. Ma l'oggetto più interessante di questa serie di immagini è senza ombra di dubbio quello che tiene in mano questo signore, questo giovanotto egiziano: quello è un biglietto oracolare. Si interrogano i santi come si interrogavano in passato Amon o Sobek. Chi aveva bisogno di sapere qualcosa del proprio futuro, della propria salute, dei propri affari, si recava presso San Colluto, per esempio, e chiedeva se fosse o non fosse il caso di intraprendere un viaggio. Di solito le domande venivano formulate in maniera binaria, così da poter estrarre un bigliettino che sosteneva che fosse opportuno, e un altro in cui si sosteneva fosse inopportuno fare una certa cosa. Di solito il biglietto estratto veniva messo in tasca e portato via, quindi quelli che si trovano sullo scavo sono chiaramente quelli non pescati, quelli non estratti, e sono una documentazione ulteriore della continuità tra l'Egitto faraonico e quello tardoantico. Quindi non bisognerebbe mai pensare alla fase post-faraonica come a una fase storica disgiunta culturalmente, politicamente, e soprattutto religiosamente rispetto al passato. Certo, ci sono delle novità, questo è evidente, ma non delle vere e proprie rotture definitive. [SUONO]